Tre sfide che la nuova Valtur deve impegnarsi a vincere

“Come l’araba fenice risorge dalle proprie ceneri” potrebbe essere il claim della campagna pubblicitaria della nuova Valtur di Investindustrial. Perché la gloriosa Valorizzazione Turistica (fondata a Roma nel 1964, passata di mano svariate volte) di cadute e resurrezioni è esperta.

Solo per restare nel decennio corrente, a ottobre 2011 viene ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria e commissariata; a ottobre 2013 Orovacanze Srl vince la gara indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico e Franjo Ljuljdjuraj ne diventa il dominus; meno di tre anni dopo, ad aprile 2016 Franjo cede il pacchetto di maggioranza alla Investindustrial del finanziere Andrea Bonomi.

Il neo-presidente Carlo Gagliardi pare avere le idee chiare: prima l’incoming, poi l’outgoing; apertura a tempo di record del Tanka Village; budget importante per la ristrutturazione dei villaggi italiani.

Tre sono le sfide principali che attendono l’ennesima resurrezione della fenice Valtur. Primo, riacquisire la fiducia delle agenzie di viaggi. Non quella dei clienti (che, si sa, drogati dal web e dal faso-tuto-mi, confondono ancora Valtur con VentaClub...), ma la fiducia degli agenti, che per decenni hanno dato un contributo essenziale alle vendite dei villaggi con la 'V' maiuscola. Confusi dalle passate campagne pubblicitarie ('Non chiamatelo villaggio') e dalle vicende della famiglia Patti, raffreddati dai tre commissari, disillusi dai sogni di gloria di Franjio: ecco la parabola che ha condotto i cataloghi Valtur dalla vetrina dell’agenzia al cassetto della scrivania. “Sicuro di volere Valtur?” al cliente entrato in agenzia “Veramente avrei altro da proporle...”.

Secondo, mantenere le promesse. “La ristrutturazione costerà più dell'acquisizione delle quote di Valtur” dichiara fiducioso Gagliardi: sarebbe ora. Ho visitato recentemente il villaggio di Ostuni, l’unico rimasto di proprietà, con Pila e a Marilleva: l’ultima volta c’ero stato nel 1983 e c’era appena passato Fiorello. Ecco, a parte lui, non ho trovato grandi differenze.

Terzo, scegliere le persone giuste. Si sa, lo spoil-system funziona anche nelle nostre aziende: chi subentra fa fuori il management che trova e insedia i suoi uomini. Nulla di strano: chi mette i soldi vuole controllare la cassa e sperare di non trovare scheletri negli armadi. Ma per ruoli essenziali come il direttore vendite o il product manager, magari un collega sveglio, che conosca le agenzie e sappia la differenza tra un villaggio al mare e uno in montagna potrebbe essere più utile, del solito “ex Accenture / ex Coca Cola / ex Autogrill”. E costare pure di meno.

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